Come può il pesce zebra aiutare l’Alzheimer?

Il pesce zebra, o “Danio rerio”, è un pesce di piccole dimensioni che vive nelle acque dolci di Pakistan, India, Bangladesh e Nepal. Il suo nome di fantasia deriva dal fatto che, proprio come la zebra, anche questo animale è caratterizzato da delle righe – in questo caso di colore blu – che attraversano tutto il corpo in lunghezza.

Questo piccolo nuotatore appartiene alla famiglia dei Ciprinidi ed è un pesce molto famoso non solo tra appassionati di acquari ma soprattutto fra gli scienziati in quanto, grazie alle sue particolari caratteristiche fisiche, è diventato uno degli animali più utilizzati nella ricerca e negli studi in ambito medico. Più precisamente, questa specie marina ha fornito degli importanti aiuti per quanto riguarda la ricerca sul cancro, sul diabete, sulle malattie muscolari, genetiche o cerebrali.

Il pesce zebra è entrato per la prima volta nei laboratori sperimentali per essere studiato a partire dal 2001 per opera del biologo cellulare Ben Hogan che notò, già al tempo, delle cellule contenute nel pesce che potevano essere utili nella cura della demenza e dell’ictus.

Il pesce zebra infatti ha un codice genetico molto simile a quello dell’uomo per oltre il 90%.

Alcuni studi condotti e pubblicati in Cell Reports da un gruppo di ricercatori del Centro tedesco per le malattie neurodegenerative (DZNE) e della Technische Universität Dresden (TUD) hanno messo in luce quanto le sue cellule cerebrali possano rigenerarsi facilmente quando, a causa di malattie cerebrali o di lesioni esse diminuiscono.

Partendo da questo, gli scienziati hanno cercato di analizzare le “cellule progenitrici” quando si sviluppano in risposta ad una concentrazione di amiloide, indizio significativo della presenza dell’Alzheimer, per poter cercare di trovare una cura a questa terribile malattia neurodegenerativa.

Merito di questa ricerca è la scoperta di otto diverse popolazioni progenitrici di cellule che fino ad ora erano sconosciute e che proliferano in riposta all’amiloide.

Non ci resta che sperare che l’evoluzione della ricerca riesca nel raggiungimento di un rimedio efficace per tante malattie degenerative ad oggi incurabili.