Il 4 aprile è scattato il Fish Dependance Day, giorno che decreta l’inizio del consumo di pesce importato da altri Paesi per esaurimento di quello pescato nei nostri mari. È questa la situazione delineata dall’associazione ambientalista MedReAct, sulla base del rapporto NEF Fish Dependence 2017, pubblicato dalla New Economics Foundation. L’analisi ha evidenziato come negli ultimi 25 anni gli italiani abbiano consumato sempre maggiori quantità di pesce diminuendo progressivamente la quantità di autonomia nazionale di prodotti ittici.

Se nel 1990 il Fish Dependance Day arrivava il 3 maggio, il picco più basso è stato toccato nel 2014 quando le riserve italiane erano finite già il 13 febbraio. Appare così evidente come la capacità di soddisfare la domanda interna con i pesci pescati dalla nostra flotta ha un’autonomia che va da un minimo di uno ad un massimo di quattro mesi. Sicuramente insufficiente se si guarda alla situazione annuale complessiva. Nel 2016 in Italia sono stati 25 i chili di pesce mangiato, contro la media europea che si era fermata a 23kg. “Per soddisfare la richiesta di pesci e frutti di mare fino a fine 2017 sul calcolo della quota complessiva annuale, si passa all’import” ha spiegato il Wwf commentando i dati “Questo è un segnale di quanto questi Paesi, non da soli, consumino molto più pesce di quanto possano pescare nelle loro acque nazionali”.

A livello europeo l’indipendenza di alcuni Paesi arriva anche fino al 13 luglio, mentre per altri si ferma anche molto prima: Austria, Slovenia, Slovacchia, Belgio, Romania e Lituania hanno esaurito le loro risorse ittiche a febbraio. Germania e Spagna sono invece le nazioni in cui il Fish Dependance Day arriverà tra la fine di aprile e l’inizio di maggio.

Come risolvere questo altissimo sfruttamento dei mari? Il Mediterraneo è tra i più inflazionati, e non è più in grado di sostenere le numerose richieste di pesce locale. Un altro dei problemi è che ad essere maggiormente consumate sono poche specie di pesce, circa cinque o sei. Sebbene i nostri mari offrano numerosissime specialità ittiche gli italiani ne gradiscono poche qualità e questo va ad incidere pesantemente anche nell’autonomia annuale. Secondo Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia per invertire questo trend negativo “è fondamentale che le autorità rafforzino le norme sulla tracciabilità e l’etichettatura, che le imprese e il mondo della ristorazione le rispettino e i consumatori siano più attenti nella scelta dei prodotti, selezionando quelli locali – meno nobili magari ma più disponibili – anche di allevamento”.