Fino a non molti anni fa in Polesine era molto praticata la pesca alle rane: i canali, gli scoli, i fossati pullulavano di batraci mentre adesso sono pressoché spariti o comunque rarefatti per colpa dell’inquinamento.
Si trattava di uno sport tramandato da padre in figlio e spesso praticato dai bambini che partivano in bicicletta all’alba con la lunga canna ed un particolare cestino di vimini, chiamato ranarola, da riempire con il bottino della giornata.
Ma come si imparava? Durante l’inverno si allenavano a fare i lanci nel cortile di casa, con una piccola patata come esca, posta in fondo alla lenza di spago sottile, ma niente amo, perché la rana doveva essere presa al volo ed infilata nel cestino attraverso un apposito foro.
Un altro sistema molto utilizzato era quello di andare la notte con le barche nei canali con abbondante vegetazione. Un pescatore stava steso prono sulla prua ed un piccolo fanale che serviva ad individuare le rane e catturarle.
Al momento però i canali sono troppo inquinati e le rane sono tra le creature che più risentono di questa condizione, anche se sono tra gli animali che meno suscitano intenti protezionistici. Ma questo è solo uno dei motivi che ha portato questa tradizione nel dimenticatoio; il motivo principale è che le rane ormai non si mangiano più. Una volta le rane fritte, oppure il brodo di rana (anche se sembra un piatto dei fratelli Grimm) erano una vera e propria prelibatezza, ma adesso sono pochi i ristoranti polesani che ancora servono queste ricette.